Interviste

Articoli sulla chirurgia vascolare scritti dallo specialista

Diagnosi e trattamento dell’arteriopatia degli arti inferiori

Responsabile della chirurgia vascolare casa di cura Città di Bra: sede provinciale della Società Italiana di Flebologia (S.I.F) 

Il Dott. Giancarlo Viglione, Specialista in Chirurgia Vascolare, Responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Vascolare della Casa di Cura Città di Bra e Presidente Provinciale della Società Italiana di Flebologia (SIF), ci illustra l’attuale approccio alla diagnosi e al trattamento dell’Arteriopatia degli Arti Inferiori, esponendo le varie tecniche diagnostiche e terapeutiche, sia Chirurgiche che Endovascolari. 

  • COME SI DIAGNOSTICA L’ARTERIOPATIA DEGLI ARTI INFERIORI?

    Come già detto, l’inizio della malattia è molto subdolo, con dolori agli arti inferiori alla marcia per poi a divenire vera “claudicatio arteriosa” e cioè un dolore sia gluteo, sia al polpaccio sia al piede dopo un certo numero di metri. Il limite per definire un’arteriopatia da trattarsi chirurgicamente o endoluminalmente è un perimetro di marcia nettamente inferiore ai 200 metri, dopo il quale il paziente deve obbligatoriamente fermarsi per dolore acuto nelle sedi prima esposte (definito anche male delle vetrine): il paziente è obbligato a fermarsi, fare qualche minuto di riposo e poi può procedere alla marcia, ma questo iter si ripeterà sempre uguale. 

    Nei casi più gravi che evolvono verso l’ischemia acuta si ha dolore a riposo, alterazione della motricità e sensibilità del piede, comparsa di ulcere. I pazienti devono essere attentamente valutati per fare una diagnosi differenziale con gli altri tipi di claudicatio: ad esempio, la claudicatio venosa in cui vi è dolore alla marcia che recede solo sollevando l’arto, la claudicatio osteo-articolare nella quale vi sono limitazioni di alcuni movimenti con dolore da carico che scompare rimuovendo il carico (patologia osteo-articolare, anca, ginocchio, colonna) la claudicatio tendino legamentosa con dolore localizzato a un muscolo o al tendine e impossibilità di eseguire alcuni movimenti con astenia e ipostenia dell’arto. 

    Infine vi è la claudicatio neurogena con dolore a riposo, specie notturno a letto in territorio di radici nervose e impotenza funzionale dell’arto (patologia midollare, discale o sindrome del canale stretto).

    È comunque importante ricordare che la presenza dei quattro polsi periferici ai piedi esclude nella grande maggioranza dei casi l’arteriopatia degli arti inferiori.

  • QUALI SONO LE TERAPIE PER L’ARTERIOPATIA DEGLI ARTI INFERIORI?

    Le terapie per la cura delle arteriopatie degli arti inferiori  variano secondo la gravità della malattia stessa. 

    Per le forme con perimetro di marcia nettamente superiore a 200 metri e senza alcun dolore bisogna prima di tutto modificare lo stile di vita con astensione totale dal tabacco, dieta appropriata con scarso apporto lipidico , controllo della pressione e della glicemia particolarmente nei  diabetici. 

    Nella maggior parte dei casi tale presidio unitamente a terapia anti-aggregante piastrinica (Aspirina in genere) e vasodilatatori può permettere al paziente lunghi anni di astensione da interventi chirurgici ed endoluminali, in quanto si sviluppa un circolo collaterale che sopperisce all’occlusione dell’arteria femorale. 

    Per i soggetti diabetici il discorso è più difficile poichè l’arteriopatia degli arti inferiori colpisce le arterie sotto gonali, cioè dal ginocchio al piede, e ha una sua evoluzione che poco risente dei presidi sopra citati. Nel caso di situazioni più avanzate con perimetri  di marcia ristretti a 50 – 100 metri  e dolore notturno al piede con necessità spesso di dormire seduti, si deve obbligatoriamente trattare il paziente con terapia chirurgica  endoluminale. 

    A tutt’oggi  l’opzione di prima scelta è sicuramente quella endoluminale, con dilatazione con palloncino e con  posizionamento di  stent mediante puntura percutanea in anestesia locale all’inguine o sull’arteria omerale del braccio e introduzione di guide e sonde che sono portatori di palloni dilatatori o di veri e propri  stent, in modo da poter   dilatare le arterie e schiacciare a parete il materiale ostruente e ridare flusso agli arti inferiori. 

    In molti casi tale metodica è sufficiente a non eseguire interventi chirurgici, ma purtroppo  il posizionamento soprattutto di stent è  gravato ancora da una alta percentuale di ristenosi, sebbene attualmente si usino stent medicati  a rilascio di farmaci che limitano molto la ristenosi, come già si fa da tempo  per le arterie coronarie del cuore in caso di coronaropatia. 

    Nel caso non  fossero sufficienti le metodiche endoluminari  si deve passare alla chirurgia tradizionale aperta e cioè ai by-pass che possono essere di vario tipo (aorto-iliaci, femoro-poplitei  e by-pass distali), sia con l’utilizzo di materiale protesico che della stessa vena safena “sana” invertita o direttamente in situ.

    In caso si tratti di by-pass distali  e non vi sia a sufficienza vena “sana” si possono eseguire dei by-pass cosiddetti compositi,  con una parte in materiale protesico e la parte distale in vena safena “sana” invertita. In caso poi di situazioni estreme con ulcere , necrosi e gangrene del piede si possono utilizzare sonde e palloni di tipo coronarico per dilatare le arterie delle gambe oppure by-pass estremi fino alle arterie del piede.

  • IN CONCLUSIONE

    L’arteriopatia obliterante degli arti inferiori è una affezione estremamente seria che va valutata fin dai primi sintomi  e gestita in modo tale da poter usufruire di metodiche  non invasive per lungo tempo, spiegando bene al malato che soltanto cambiando stile di vita ed astenendosi dal tabacco e curando in maniera ottimale il diabete si può evitare di giungere agli stadi più estremi con interventi chirurgici che comunque sono sempre invasivi e talora non riescono a risolvere il problema, con esito in amputazione dell’arto in questione addirittura   fino a livello di coscia.

La diagnostica

La diagnostica strumentale si esegue mediante Doppler a onda continua, in grado di esprimere un indice pressorio, (ABI) che deve essere in un certo range e che viene ottenuto misurando la pressione sia sull’arteria omerale che alla caviglia.

L’Eco-color-doppler completa poi la diagnostica strumentale, precisando bene i tipi di flussi normali, post-stenotici e post-occlusivi e la permeabilità delle arterie addominali e degli arti inferiori.

La patologia aterosclerotica della carotide e il rischio ictus

Presso la Casa di Cura Città di Bra è presente dal 1994 una Unità Operativa di Chirurgia Vascolare che si occupa della diagnosi e del trattamento delle Malattie Vascolari, sia Arteriose (Arterie carotidi, Aorta, Arterie degli arti inferiori) che delle malattie delle Vene degli arti inferiori (varici degli arti inferiori, trombosi venose profonde e complicanze).Il Dott. Giancarlo Viglione, Specialista in Chirurgia Vascolare, Responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Vascolare della Casa di Cura Città di Bra e Presidente Provinciale della Società Italiana di Flebologia (SIF), ci illustra l’attuale approccio alla diagnosi ed al trattamento della patologia aterosclerotica carotidea, con particolare riferimento alla diagnostica Eco-color-doppler e alle tecniche chirurgiche, sia tradizionali che Endovascolari.

  • DI COSA SI TRATTA

    Per Aterosclerosi si intende un accumulo graduale di sostanze grasse, in particolare colesterolo e calcio , all’interno delle pareti delle arterie, come  la ruggine in un tubo. Tale accumulo di grassi porta alla formazione di placche con graduale restringimento del lume delle arterie, deposito di elementi corpuscolati del sangue e formazioni di coaguli , con possibili migrazioni e fenomeni embolici cerebrali  fino all’ictus.

    Nella patologia aterosclerotica della carotide vi è solo raramente la possibilità di formazione di un circolo collaterale di compenso che possa evitare incidenti vascolari gravi.

    La presenza di  stenosi carotidee  importanti, in linea generale superiori al 70%,  può dar luogo facilmente a migrazioni emboliche e all’ictus ischemico: il 50% degli ictus è correlato a migrazioni emboliche da placche carotidee, il   25% da coaguli che partono dal cuore ed  il 25% da coaguli di formazione intracranica.

    L’ictus ischemico rappresenta l’80% degli ictus generali ( ictus emorragico 15% ed emorragie  cerebrali  5%) ed  ha un impatto economico enorme :  è una delle patologie  più costose in termini di qualità di vita ed in termini monetari. Ogni  anno vi sono circa 200.000  ictus in Italia , destinati ad aumentare: di essi un terzo decede, un terzo riporta gravi danni permanenti  ed un terzo si avvia ad un  recupero graduale.  Si calcola che in Italia vi siano un milione di  persone  sopravvissute con esiti più o meno invalidanti  e si stima che il numero di ictus sia destinato a raddoppiare nei prossimi anni.

    L’aterosclerosi carotidea ha un’incidenza del 7% nelle donne e del 12% negli uomini al di sopra dei 70 anni. Il rischio ictus annuale nelle stenosi carotidee non trattate varia dal 2 al 5% per arrivare fino al 7% nei portatori di stenosi molto serrate ed al  33% di pazienti con occlusione della carotide contro-laterale.

    I fattori di rischio per la patologia aterosclerotica carotidea sono soprattutto l’ipertensione ed in particolare la pressione sistolica isolata, cioè i picchi elevati di pressione massima, la genetica, la   presenza   di    mutazioni    genetiche    trombofiliche ,   il    diabete, il    fumo, l’ ipercolesterolemia elevata e numerose altre cause infettive ed autoimmuni.

    Di tutti questi fattori di rischio  la pressione è  il fattore più importante, soprattutto per ciò che riguarda la pressione massima e  per ciò riguarda la pressione differenziale cioè il variare della pressione massima rispetto alla pressione minima.

    Bisogna inoltre ricordare che vi è una importante correlazione tra la patologia aterosclerotica carotidea e quella coronarica: il 70% dei candidati a chirurgia  della carotide  ha lesioni coronariche alla Coronarografia mentre l’infarto è la prima causa di mortalità in pazienti con pregressi episodi ischemici cerebrali.

    Se ne desume che la patologia aterosclerotica carotidea è un campanello d’allarme non solo per il rischio ictus ischemico ma per il rischio infarto ed il rischio di arteriopatia degli arti inferiori.

ARTICOLO CAROTIDE

La diagnostica

Questi dati indicano come sia molto importante eseguire regolari controlli Eco-color-doppler delle carotidi a partire dall’età di 50 anni nell’uomo e nei 60 nella donna: l’Eco-color-doppler carotideo è regolarmente praticato presso la Chirurgia Vascolare della Casa di Cura Città di Bra sia in forma Convenzionata con il Sistema Sanitario Nazionale che in forma privata, ed è in grado di descrivere perfettamente la situazione carotidea, individuando i cosiddetti precursori silenti, cioè le piccolissime placche lipidiche che sono le prime a manifestarsi, fino ad arrivare a individuare le lesioni avanzate, cioè le vere e proprie placche carotidee, sia in forma a basso rischio emboligeno che in forma complicata, cioè con ulcerazioni e necrosi, che costituiscono un alto rischio embolico di ictus, a causa della rottura della placca e di migrazione embolica cerebrale.


L’Angio Tac e l’Angio-Risonanza magnetica delle carotidi vengono utilizzate in seconda battuta, quando si tratta di eseguire un trattamento chirurgico sia tradizionale aperto che Endoluminale, poiché sono in grado di favorire una panoramica molto più ampia sia delle carotidi che delle arterie intra-cerebrali che dell’encefalo.

La terapia

Il trattamento dell’aterosclerosi carotidea dipende dal grado di stenosi della carotide e dalla morfologia delle placche: in linea generale le stenosi superiori al 70% o le stenosi anche inferiori al 60%, ma ad alto rischio emboligeno, cioè ulcerate e non omogenee, debbono essere oggetto di trattamento non più medico farmacologico, ma di rivascolarizzazione. 

Fino ad allora può essere utilizzata una terapia medica con anti-aggregazione piastrinica che quasi sempre è rappresentata dall’Aspirina, dal completo controllo del colesterolo specie quello “ cattivo (cosiddetto colesterolo LDL), non superiore ai 70 mg, regolare attività fisica, in particolare camminata a passo veloce quotidiana di almeno mezz’ora, alimentazione corretta con pochi grassi saturi e molte carni bianche e pesce e uso di statina, specie nei soggetti con familiarità per malattia carotidea/coronarica e con colesterolemia LDL elevata.

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    Se vi è una stabilizzazione delle placche carotidee attraverso tutti questi presidi non si rendono necessari né la terapia chirurgica tradizionale né quella Endoluminale. Qualora invece vi sia una progressione o un’evoluzione della placca, si deve pensare a una chirurgia della carotide in forma aperta in anestesia sia loco regionale che generale, con pulizia della carotide ed estrazione del cilindro ateromasico ricco di grassi e calcio, sia in forma endoluminale con il posizionamento dello stent carotideo del tutto similare agli stent che vengono posizionati nelle arterie coronarie in caso di angina pectoris o infarto acuto.

    La chirurgia aperta conserva un ruolo importante, con una percentuale di ictus ischemico intra-operatorio che va dall’1 al 3% e viene eseguita soprattutto per carotidi non lineari (inginocchiamenti e tortuosità importanti carotidee), placche molto calcifiche e difficilmente dilatabili , presenza di placche molli con “ pappa ateromasica” diffusa. 

    Negli ultimi anni si sono sviluppate le tecniche Endoluminali che prevedono una puntura all’inguine in anestesia locale e l’introduzione di un catetere portatore di stent: viene introdotto un filo guida che supera la lesione carotidea, viene posizionato un ombrellino filtro che raccoglie l’eventuale materiale embolico che può migrare al cervello durante la procedura e viene aperto uno stent che dilata la carotide, permettendo pertanto di schiacciare contro la parete la placca e ridare completo flusso alla carotide, con rischi minori rispetto alla chirurgia tradizionale aperta .

In conclusione

La prevenzione dell’ictus ischemico da patologia ateromasica carotidea è il primo presidio e prevede regolari controlli Eco-color-doppler delle carotidi a partire da giovane età, sia nei maschi che nelle femmine, associato a un controllo costante dei fattori di rischio precedentemente discussi.

La Casa di Cura Città di Bra è attrezzata da numerosissimi anni sia per la diagnostica della malattia aterosclerotica carotidea (Eco-color-doppler carotideo), che per l’adeguato trattamento chirurgico delle lesioni carotidee. 

ARTICOLO LA PATOLOGIA ATEROSCLEROSI DELLA CAROTIDE ED IL RISCHIO ICTUS
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